Fake Nutrition: alimentazione e disinformazione

La scienza non è democratica. Lo si diceva recentemente a proposito delle fake news (quando parlavamo in italiano si usava il termine bufale) sui vaccini. Lo possiamo ribadire per la nutrizione, ambito in cui il cimentarsi a chi la spara più grossa sembra diventato uno sport nazionale.
Enunciare ripetutamente un concetto errato, magari anche da pulpiti all’apparenza autorevoli, non ne muta la natura fallace. Anche se il 90% della popolazione è convinta che l’olio di semi sia più leggero di quello di oliva, le calorie di entrambi rimarranno sempre 9 per grammo.
Il fake, cioè il falso, può esse nel nostro caso ispirato da precisi interessi economici ma anche, banalmente, dall’ambizione di crearsi un’immagine di “esperto”, sia questa legata a una professione o no. Sta di fatto che oggi sulla nutrizione girano così tante informazioni approssimative, imprecise o del tutto sbagliate che dovremmo redigere tomi ponderosi per confutarle una ad una. La fake nutrition, è ormai un universo sconfinato e, come quello cosmologico, in continua espansione.
La bufala non consiste solo nell’affermare inesistenti benefici o danni indotti da cibi e sostanze ma anche nel passare sotto silenzio informazioni sulla loro reale pericolosità. Così, ad esempio, alla fine degli anni ’60 la Sugar Reseach Foundation, finanziata dall’industria americana dello zucchero, insabbiò i risultati di alcuni studi sul saccarosio che ne dimostravano la pericolosità mentre finanziò studi mirati ad enfatizzare i danni dei grassi saturi. Per decenni i danni dello zucchero sono furono minimizzati e l’attenzione del pubblico venne indirizzata prevalentemente sui grassi.
Molte fake news nutrizionali sono involontarie, ripetute in buona fede da chi non sa di non sapere, ma ha l’imprudenza un po’ spocchiosa di ricercare un proprio pubblico. La nutrizione è una materia complessa, difficile da padroneggiare nelle sue tante articolazioni e soggetta a continui aggiornamenti. Stare al passo è faticoso e per molti sedicenti esperti è più facile mandare a memoria un decalogo vetusto da cui trarre all’occasione frasi lapidarie del tipo “non più di due uova la settimane” o “formaggi no perché aumentano il colesterolo”.
Recenti studi di notevole rigore metodologico e pubblicati da autorevoli riviste scientifiche ci inducono a ripensare ad alcune certezze che ritenevamo acquisite una volta per tutte. Così dovremmo ricrederci sulla nocività dei grassi saturi e del colesterolo o fare attenzione a non ridurre eccessivamente il sale per non incorrere nel paradossale effetto di danneggiare la salute.
Potremmo ancora scoprire che noti yogurt per abbassare il colesterolo non hanno mai dimostrato benefici per le nostre arterie che, al contrario, potrebbero aumentare.
Una bufala di vaste dimensioni è quella dei test per le intolleranze alimentari che oggi hanno ampia diffusione e sono praticati in laboratori, ambulatori e farmacie. Il presupposto è che un test, di semplice esecuzione e a totale carico del soggetto esaminato, sia in grado di diagnosticare intolleranze causa di fastidi o patologie che vanno dall’eccesso di peso alla cefalea, dal gonfiore addominale all’astenia. Stranamente, a questi test risultano positivi tutti coloro che vi si sottopongono. L’astensione per pochi mesi dagli alimenti individuati dal test (in genere grano, latticini, lievito e qualche vegetale), magari con l’aiuto di un costoso integratore, sarebbe in grado di “ripristinare la tolleranza”. Tutte queste affermazioni sono fake, palesemente false perché prive della pur minima evidenza scientifica. L’astensione dagli alimenti positivi al test può portare a perdere qualche chilo e a sgonfiare la pancia, ma l’effetto è spiegabile dalla riduzione di alimenti calorici oggetto di fermentazione intestinale che si verifica in chiunque e non è causato da un’intolleranza. Da qualche anno, a fianco di quelli per le intolleranze alimentari, sono venduti test genetici per scoprire a quali malattie saremmo predisposti. Al loro esito farà seguito la proposta di immancabili diete e integratori alimentari. Anche in questo caso si tratta procedure prive di evidenza, data l’enorme complessità dai rapporti tra genoma e patologie umane e l’assoluta incertezza circa l’efficacia degli interventi dietetici proposti.
Che fare quindi per difenderci? Le autorità che dovrebbero vigilare latitano, radio e tv danno sempre più la parola a chiunque si definisca nutrizionista (ma chi è costui? ha una laurea? se sì, in cosa? Chi ne ha verificato le competenze necessarie per dare informazioni di natura sanitaria a un vasto pubblico?). La soluzione è difficile anche perché da quando esiste “la rete” le bufale diventano presto “virali” e per molti virus, purtroppo, ancora non esistono terapie efficaci.