Grassi o carboidrati?

Nella storia dell’alimentazione la contrapposizione tra grassi e carboidrati e, all’interno dei secondi, tra quelli animali e vegetali ha visto fasi alterne tuttora in divenire. Gli antichi romani tenevano in grande considerazione i cereali e l’olio d’oliva, che imbolicamente rappresentavano l’uomo civilizzato. Carne (selvaggina), lardo e burro erano preferiti dai barbari che, da nomadi, facevano di necessità virtù. Nel Basso Medioevo le due culture alimentari si fusero, dopo essersi contrapposte a lungo, e ragioni di natura religiosa prevalsero nel guidare la scelta degli alimenti.
Carne e lardo erano proscritti di venerdì e negli altri periodi di penitenza, quando si dovevano preferire cereali, pesce e olio. Nel Rinascimento al burro fu riconosciuta una natura “attenuata” rispetto agli altri grassi animali e perciò venne inserito nella lista dei grassi consentiti nei giorni in cui era prescritto il “mangiare di magro”, come riportato dal famoso cuoco Bartolomeo Scappi nella sua Opera (Venezia, 1570). All’epoca tuttavia non mancava chi manifestava per questo grasso un’avversione ispirata da considerazioni sanitarie, come il medico padovano Michele Savonarola (nonno del più celebre Girolamo, arrostito per eresia a Firenze nel 1498) il quale, nel Libreto de tutte le cosse che se magnano, ammoniva: “el buthiero noce al stomeco e ai suoi villi..”.
Con il passare dei secoli si alternarono opinioni e usi, variabili a seconda dei luoghi e degli spiriti, molto più tolleranti quelli a propensione godereccia, severi e restrittivi quelli di inclinazione quaresimale. Il progredire della scienza rese disponibili nuove conoscenze che interferirono anche con la gastronomia e gli orientamenti culturali.
Il XX secolo si caratterizzò per la grande paura verso il colesterolo e la conseguente condanna dei grassi di origine animale e tutto ciò che contiene la temuta sostanza.
Studiando i costumi alimentari delle popolazioni e mettendoli in relazione alle patologie si osservò che le una dieta ricca di cereali e olio d’oliva proteggeva dalle malattie cardiovascolari. Tale era lo stile alimentare delle popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo e ad esso fu quindi dato il nome di dieta Mediterranea. Questo modello è rimasto attuale fino ai nostri giorni e finora ha ampiamente dimostrato la sua efficacia preventiva verso le principali malattie degenerative, come cancro e patologie cardiovascolari. Anche sull’onda della Dieta Mediterranea si affermata negli ultimi decenni un’opinione favorevole nei confronti dei carboidrati, pur temperata dalla distinzione tra semplici e complessi, a lento e a rapido assorbimento. Nel contempo si è consolidata la cattiva reputazione per i grassi, pur nella distinzione tra saturi e insaturi. I primi (presenti soprattutto nei grassi animali, del cocco e della palma), ritenuti molto dannosi, i secondi (l’olio d’oliva e di semi) meno pericolosi ma comunque da non consumare in quantità superiori al 30% delle calorie giornaliere.
Alcuni recenti studi condotti su ampie popolazioni hanno fortemente scosso queste certezze fino a poco tempo fa ritenute inscalfibili. Dapprima fu osservato che il colesterolo in molti casi è molto meno pericoloso di quanto finora creduto (e propagandato!). È il caso, ad esempio, delle popolazioni dell’Europa mediterranea, tra cui l’Italia, e del Giappone. Un duro colpo alle teorie lipidofobiche è stato inferto nel 2015 da un lavoro di sintesi dei principali sudi sull’argomento: i grassi saturi non causano aumento della mortalità, delle malattie cardiovascolari e del diabete (de Souza RJ et al. Intake of saturated and trans unsaturated fatty acids and risk of all cause mortality, cardiovascular disease, and type 2 diabetes: systematic review and meta-analysis of observational studies. BMJ. 2015 Aug 11;351:h3978).
L’ultima puntata della vicenda sono stati pubblicati i dati dello studio epidemiologico PURE che indagato le relazioni tra dieta, malattie e cause di morte in 135 mila persone appartenenti a 18 paesi di tutti i continenti, per un periodo medio di oltre 7 anni a persona. Clamorosamente il consumo di carboidrati si è dimostrato favorire il rischio di mortalità complessiva. Al contrario, ad elevate assunzioni di grassi si associava una riduzione della mortalità per tutte le cause e di quella per malattie cardiovascolari. Il consumo dei famigerati grassi saturi, in particolare, riduceva sensibilmente la mortalità per ictus cerebrale (Dehghan M et al. Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality in 18 countries from five continents (PURE): a prospective cohort study. Lancet. 2017 Nov 4;390(10107):2050-2062).
La resistenza della classe medica a recepire il significato di queste evidenze è notevole. Qualcuno ha fatto le pulci ad alcune linee guida su nutrizione e rischio cardiovascolare, rivelando conflitti di interesse che in parte possono spiegare questo atteggiamento (Teicholz N. A short history of saturated fat: the making and unmaking of a scientific consensus. Curr Opin Endocrinol Diabetes Obes. 2023 Feb 1;30(1):65-71).
Che conclusioni trarre da questi dati all’apparenza controcorrente? Certamente assumere elevate quantità di grassi, sostanze molto caloriche, favorisce l’aumento del peso e, di conseguenza, l’instaurarsi di obesità, diabete e delle patologie a questi correlate. Ma considerazioni analoghe possiamo farle anche per i carboidrati. Nei paesi occidentali il problema è l’eccessiva introduzione di calorie, più che la loro fonte. Consumare senza eccessi ma anche senza ansia olio (d’oliva, ma non solo), latte, yogurt, formaggi e burro, non abusare di pane, pasta, cereali e zucchero, seguendo uno stile di vita complessivo (attività fisica!) che eviti importanti aumenti del peso corporeo, sono scelte che potrebbero rivelarsi vantaggiose.